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Romani 7 – La Debolezza della Legge Portata alla Luce

A. Morti alla Legge.

1. (1-3) La legge ha autorità solamente sui vivi.

Ignorate, fratelli (perché parlo a persone che hanno conoscenza della legge), che la legge ha potere sull’uomo per tutto il tempo che egli vive? Infatti una donna sposata è per legge legata al marito finché egli vive, ma se il marito muore, ella è sciolta dalla legge del marito. Perciò, se mentre vive il marito ella diventa moglie di un altro uomo, sarà chiamata adultera; ma quando il marito muore, ella è liberata da quella legge, per cui non è considerata adultera se diventa moglie di un altro uomo.

a. La legge ha potere: In Romani 6:14 Paolo ci ha detto che non siamo sotto la legge ma sotto la grazia. Dopo il discorso di Romani 6:15-23 riguardante le implicazioni pratiche di essere sotto la grazia, ora spiega più in dettaglio in che modo non siamo più sotto il dominio della legge.

b. Che la legge ha potere sull’uomo: Nel testo in greco antico l’articolo “la” non è presente prima di legge. Ciò indica che Paolo parla di un principio più ampio della sola Legge Mosaica. La legge che ha potere sull’uomo include la Legge di Mosè, ma c’è un principio di legge più vasto comunicato dalla creazione e dalla coscienza, e anche questi hanno potere sull’uomo. 

c. La legge ha potere sull’uomo per tutto il tempo che egli vive: Paolo puntualizza che è la morte a porre fine a tutti gli obblighi e i contratti. Una moglie non è più legata al marito se egli muore, perché la morte decreta la fine di quel contratto. Quando il marito muore, ella è liberata da quella legge.

2. (4) La nostra morte con Gesù ci rende liberi dalla legge.

Così dunque, fratelli miei, anche voi siete morti alla legge mediante il corpo di Cristo per appartenere ad un altro, che è risuscitato dai morti, affinché portiamo frutti a Dio. 

a. Anche voi siete morti alla legge mediante il corpo di Cristo: In Romani 6:3-8 Paolo ha illustrato accuratamente che siamo morti con Gesù e siamo anche risorti con Lui, sebbene in quel caso Paolo abbia parlato solamente della nostra morte al peccato. Ora spiega che siamo morti anche alla legge.

i. Alcuni potrebbero pensare: “Sì, siamo stati salvati per grazia, ma dobbiamo vivere secondo la legge per piacere a Dio”. Qui Paolo dice chiaramente che i credenti sono morti alla legge come criterio di vita o di posizione davanti a Dio.

ii. “I credenti sono liberi dalla legge. Per loro non è un’opzione come via di salvezza. Non cercano di essere giusti davanti Dio ubbidendo a una qualche forma di legge, come fanno i seguaci di quasi tutte le religioni.” (Morris)

b. Per appartenere ad un altro: Tuttavia, non siamo liberi dalla legge per poter vivere per noi stessi. Siamo liberi cosicché possiamo appartenere a Gesù e portiamo frutto a Dio.

3. (5) Il problema della legge.

Infatti, mentre eravamo nella carne, le passioni peccaminose che erano mosse dalla legge operavano nelle nostre membra, portando frutti per la morte,

a. Mentre eravamo nella carne: Sotto la legge non abbiamo portato alcun frutto a Dio. Piuttosto, abbiamo portato frutti per la morte, perché la legge ha mossole passioni del peccato dentro di noi.

b. Portando frutti per la morte: Paolo spiegherà questo problema della legge più dettagliatamente in Romani 7:7-14. Il suo pensiero però è chiaro: possiamo portare appieno frutto per Dio quando siamo liberi dalla legge.

4. (6) Liberati dalla legge.

Ma ora siamo stati sciolti dalla legge, essendo morti a ciò che ci teneva soggetti, per cui serviamo in novità di spirito e non il vecchio sistema della lettera.

a. Ma ora siamo stati sciolti dalla legge: Qui Paolo riassume il tema di Romani 7:1-5. Poiché siamo morti con Gesù al Calvario, siamo morti alla legge e sciolti dal suo dominio su di noi come criterio di giustificazione o di santificazione.

i. La legge non ci giustifica; non ci rende giusti davanti a Dio. La legge non ci santifica; non ci porta più in profondità con Dio e non ci rende più santi davanti a Lui.

b. Per cui serviamo in novità di Spirito: La nostra libertà non ci è data affinché smettiamo di servire Dio, ma al fine di servirlo meglio, in novità di Spirito e non secondo il vecchio sistema della lettera.

i. Quanto bene servi in novità di Spirito? È una vergogna che molti servano il peccato o il legalismo con più devozione di coloro che dovrebbero servire Dio in novità di Spirito. È davvero triste quando la paura ci motiva più dell’amore.

B. Il nostro problema con la legge perfetta di Dio.

1. (7a) Paolo chiede: La legge è (uguale al) peccato?

Che diremo dunque? Che la legge è peccato?

a. La legge è peccato? Se seguiamo il filo del discorso, possiamo renderci conto di come qualcuno possa trarre questa conclusione. Paolo insiste nel dire che dobbiamo morire alla legge se vogliamo portare frutto per Dio. Qualcuno perciò potrebbe pensare: “C’è sicuramente qualcosa di sbagliato nella legge!”

2. (7b) No, la legge è buona perché ci rivela il peccato.

Così non sia; anzi io non avrei conosciuto il peccato, se non mediante la legge; infatti io non avrei conosciuta la concupiscenza, se la legge non avesse detto: «Non concupire».

a. Io non avrei conosciuto il peccato, se non mediante la legge: La legge è come una macchina a raggi X: rivela ciò che c’è, ma è nascosto. Non si può dare la colpa ad una macchina a raggi X per quello che porta alla luce.

b. Infatti, io non avrei conosciuta la concupiscenza, se la legge non avesse detto: «Non concupire»: La legge stabilisce il “limite di velocità” così sappiamo esattamente se stiamo andiamo troppo veloci. Probabilmente non sapremmo che stiamo peccando in diverse aree (come la concupiscenza) se la legge non ce lo avesse mostrato in maniera specifica.

3. (8-9a) Il peccato danneggia il comandamento (legge).

Il peccato invece, presa occasione da questo comandamento, ha prodotto in me ogni concupiscenza, perché senza la legge, il peccato è morto.

a. Il peccato invece, presa occasione da questo comandamento: Paolo descrive la dinamica nella quale l’avvertimento “Non farlo!” può diventare un invito all’azione a causa dei nostri cuori peccaminosi e ribelli. La colpa non è del comandamento, ma è la nostra.

i. Nel suo libro Confessioni, il grande teologo della chiesa antica Agostino descrive in che modo funzionava questa dinamica nella sua vita da giovane: “Nelle vicinanze della nostra vigna sorgeva un pero carico di frutti. In piena notte, […] ce ne andammo, giovinetti depravatissimi quali eravamo, a scuotere la pianta, di cui poi asportammo i frutti, venimmo via con un carico ingente e non già per mangiarne noi stessi, ma per gettarli addirittura ai porci, se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell’ingiusto. Mi appropriai infatti di cose che già possedevo in maggior misura e molto miglior qualità; né mi spingeva il desiderio di godere ciò che col furto mi sarei procurato, bensì quello del furto e del peccato in sé stessi. Cosa fu che amai del furto? Fu il piacere nell’agire contro la legge? Il desiderio di rubare fu suscitato semplicemente dal divieto di non rubare”.

ii. Nella storia americana sappiamo che il Proibizionismo non fermò l’alcolismo. In svariati modi rese il consumo di alcol ancora più attraente per le persone a causa del nostro desiderio di superare i limiti stabiliti dal comandamento.

iii. Non appena Dio delinea dei limiti per noi, siamo immediatamente attratti dal volerli oltrepassare – e la colpa non è di Dio o dei Suoi limiti, ma è dei nostri cuori peccaminosi.

b. Il peccato invece, presa occasione da questo comandamento: La debolezza della legge non si trova nella legge – è in noi. I nostri cuori sono così malvagi che possono trovare l’occasione di produrre ogni concupiscenza da qualcosa di buono come la legge di Dio.

i. “La parola opportunità nel testo originale è un termine militare che significa base operativa. La proibizione fornisce un trampolino di lancio da cui il peccato è fin troppo pronto per partire.” (Harrison)

ii. Un hotel sul lungomare in Florida era preoccupato che le persone potessero provare a pescare dai balconi, così appose dei cartelli che dicevano “NO ALLA PESCA DAI BALCONI”. Avevano sempre il problema di persone che pescavano dai balconi, con cavi e zavorre che rompevano le finestre e infastidivano gli ospiti delle stanze sottostanti. Finalmente risolsero il problema semplicemente togliendo il cartello – e nessuno più pensò di pescare dai balconi. A causa della nostra natura decaduta la legge può in realtà fungere da invito a peccare.

c. Perché senza la legge, il peccato è morto: Questo mostra quanto sia grande la malvagità del peccato – può prendere qualcosa di buono e santo come la legge e distorcerlo per promuovere il male. Il peccato deforma l’amore in concupiscenza e il desiderio onesto di voler provvedere alla propria famiglia in avidità – e la legge in un promotore del peccato.

4. (9b) Lo stato di innocenza di Paolo prima di conoscere la legge.

Ci fu un tempo in cui io vivevo senza la legge, ma essendo venuto il comandamento, il peccato prese vita ed io morii,

a. Ci fu un tempo in cui io vivevo senza la legge: I bambini possono essere innocenti prima che conoscano o comprendano ciò che la legge richiede. Questo è ciò a cui Paolo si riferisce quando dice che ci fu un tempo in cui io vivevo senza la legge.

i. “Egli non vive per mezzo della vita di cui gli scrittori del Nuovo Testamento parlano spesso. Egli è vivo nel senso che non è stato mai messo a morte come risultato del conflitto con la legge.” (Morris)

ii. “Era abbastanza tranquillo nel mezzo del suo peccato e peccaminosità. Viveva perché il colpo mortale non lo aveva ancora eliminato. Sedeva sicuro nella dimora della sua ignoranza come un uomo che vive sulla sommità di un vulcano pensando che tutto vada bene.” (Lenski)

b. Ma essendo venuto il comandamento, il peccato prese vita ed io morii: Quando conosciamo la legge, essa ci mostra la nostra colpa e suscita la nostra ribellione, producendo più peccato e morte.

5. (10-12) Il peccato corrompe la legge e annulla il suo scopo di dare vita; una volta che la legge è corrotta dal peccato, porta morte.

E trovai che proprio il comandamento, che è in funzione della vita, mi era motivo di morte. Infatti il peccato, colta l’occasione per mezzo del comandamento, mi ingannò e mediante quello mi uccise. Così, la legge è certamente santa, e il comandamento santo, giusto e buono.

a. E trovai che proprio il comandamento, che è in funzione della vita, mi era motivo di morte: Il peccato lo fa per mezzo dell’inganno. Il peccato ci inganna:

·Perché il peccato promette falsamente soddisfazione.

·Perché il peccato dichiara falsamente di avere una scusa accettabile.

·Perché il peccato promette falsamente una fuga dalla punizione.

b. Infatti, il peccato… mi ingannò: Non è la legge a ingannarci, ma è il peccato che usa la legge come occasione per la ribellione. Questo è il motivo per cui Gesù ha detto: Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Giovanni 8:32). La verità ci libera dalle menzogne del peccato.

c. E mediante quello mi uccise: Il peccato, quando inseguito, porta alla morte – non alla vita. Una delle menzogne più grandi di Satana è quella di farci pensare al peccato come a qualcosa di buono di cui un Dio antipatico vuole privarci. Quando Dio ci avverte di stare lontani dal peccato, ci avverte di stare lontani da qualcosa che ci ucciderà.

d. Così, la legge è certamente santa: Paolo comprende come qualcuno possa considerarlo contrario alla legge – ma non lo è affatto. È vero che dobbiamo morire al peccato (Romani 6:2) e che dobbiamo morire alla legge (Romani 7:4), ma questo non dovrebbe farci pensare che Paolo creda che il peccato e la legge siano la stessa cosa. Il problema è in noi, non nella legge. Nondimeno, il peccato corrompe l’opera o l’effetto della legge; pertanto, dobbiamo morire ad entrambi.

C. Lo scopo e la natura della legge.

1. (13) La legge rivela e amplifica il peccato.

Ciò che è buono è dunque diventato morte per me? Così non sia; anzi il peccato mi è diventato morte, affinché appaia che il peccato produce in me la morte per mezzo di ciò che è buono, affinché il peccato divenisse estremamente peccaminoso per mezzo del comandamento.

a. Affinché appaia che il peccato produce in me la morte per mezzo di ciò che è buono: Sebbene la legge provochi la nostra natura peccaminosa, ciò può essere usato per il bene, perché espone in maniera più visibile la nostra profonda peccaminosità. Dopo tutto, se il peccato può servirsi a proprio vantaggio di qualcosa di così buono come la legge per promuovere il male, ciò mostra quanto malvagio sia il peccato.

i. C’è bisogno che il peccato appaia peccato, perché esso vuole sempre nascondersi in noi e celare la sua vera forza e profondità. “Questa è una delle conseguenze più deplorevoli del peccato. Ci ferisce maggiormente privandoci della capacità di riconoscere quanto siamo stati feriti. Esso compromette la costituzione dell’uomo, eppure lo porta a vantarsi di una salute di ferro; lo rende un mendicante, ma gli dice che è ricco; lo spoglia, ma lo fa vantare dei suoi abiti immaginari.” (Spurgeon)

ii. “La legge, dunque, è un magnifico strumento nelle mani di un ministro fedele per allarmare e destare i peccatori.” (Clarke)

b. Affinché il peccato divenisse estremamente peccaminoso per mezzo del comandamento: Il peccato diventa “più peccaminoso” per mezzo della legge in due modi. Prima di tutto, il peccato diventa estremamente peccaminoso in contrasto alla legge. In secondo luogo, diventa estremamente peccaminoso perché la legge scatena la sua natura malvagia. 

i. “Invece di essere la dinamo che ci dà la potenza di vincere, la Legge è una calamita che tira fuori da noi ogni tipo di peccato e corruzione.” (Wiersbe)

ii. Estremamente peccaminoso: “Perché non ha detto ‘estremamente oscuro’ o ‘estremamente orribile’ o ‘estremamente mortale’? Perché? Perché non c’è niente al mondo di tanto malvagio quanto il peccato. Nel cercare di usare la parola peggiore che potesse trovare per definire il peccato, egli lo chiama semplicemente con il suo nome, ribadendo il concetto: ‘peccato’, ‘estremamente peccaminoso’.” (Spurgeon)

2. (14) La legge spirituale non può frenare un uomo carnale.

Infatti, noi sappiamo che la legge è spirituale, ma io sono carnale, venduto come schiavo al peccato.

a. Ma io sono carnale: La parola carnale semplicemente significa “della carne”. Paolo riconosce che una legge spirituale non può aiutare un uomo carnale.

i. Carnale è tradotto dal termine sarkikos in greco antico, che significa “caratterizzato dalla carne”. In questo contesto si riferisce alla persona che può e dovrebbe agire diversamente, ma non lo fa. Paolo vede questa carnalità in sé stesso e sa che la legge, sebbene sia spirituale, non ha soluzione per la sua natura carnale.

b. Venduto come schiavo del peccato: Paolo è prigioniero del peccato e la legge non può aiutarlo. È come un uomo che è stato arrestato per un crimine e poi gettato in prigione. La legge potrà aiutarlo solo se è innocente, ma Paolo sa di essere colpevole e che la legge è contro di lui, non a suo favore.

c. Anche se Paolo dice di essere carnale, non significa che non sia un cristiano. La sua consapevolezza di carnalità dimostra che Dio ha fatto un’opera in lui.

i. Lutero, su ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato, ha detto: “Questa è la prova dell’uomo spirituale e saggio. Egli sa di essere carnale ed è scontento di sé stesso. Infatti, odia sé stesso e loda la Legge di Dio, che riconosce, perché egli è spirituale. La prova però di un uomo stolto e carnale è questa: si considera spirituale ed è compiaciuto di sé stesso”.

D. La difficoltà ad ubbidire con la nostra sola forza.

1. (15-19) Paolo descrive il suo sentimento di impotenza.

Giacché non capisco quel che faccio, perché non faccio quello che vorrei, ma faccio quello che odio. Ora, se faccio ciò che non voglio, io riconosco che la legge è buona. Quindi non sono più io ad agire, ma è il peccato che abita in me. Infatti io so che in me, cioè nella mia carne, non abita alcun bene, poiché ben si trova in me la volontà di fare il bene, ma io non trovo il modo di compierlo. Infatti il bene che io voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio.

a. Giacché non capisco quel che faccio: Il problema di Paolo non è una mancanza di desiderio – egli vuole fare ciò che è giusto (non faccio quello che vorrei). Il suo problema non è la conoscenza – egli sa qual è la cosa giusta da fare. Il suo problema è la mancanza di potenza: ma io non trovo il modo di compierlo. Egli manca di potenza perché la legge non ne dà.

i. La legge dice: “Queste sono le regole e faresti meglio a rispettarle”. Non ci dà però alcuna forza per poterlo fare.

b. Non sono più io ad agire, ma è il peccato che abita in me: Paolo sta rinnegando la propria responsabilità di peccatore? No. Egli riconosce che, peccando, agisce contro la propria natura come nuova creatura in Gesù Cristo. Un cristiano deve sì confessare il proprio peccato, ma deve realizzare che l’impulso a peccare non viene da chi siamo realmente in Gesù Cristo.

i. “Per essere salvato dal peccato, un uomo deve sia confessarlo che rinnegarlo; è il paradosso pratico riflesso in questo versetto. Un vero santo potrebbe dirlo in un momento di passione, ma un peccatore farebbe meglio a non trasformarlo in un principio.” (Wuest)

2. (20-23) La battaglia tra due identità.

Ora, se faccio ciò che non voglio, non sono più io che lo faccio, ma è il peccato che abita in me. Io scopro dunque questa legge: che volendo fare il bene, in me è presente il male. Infatti io mi diletto nella legge di Dio secondo l’uomo interiore, ma vedo un’altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e che mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra.

a. Io scopro dunque questa legge… in me è presente il male: Chiunque abbia provato a fare il bene è consapevole di questa battaglia. Non capiamo quanto sia difficile smettere di peccare finché non ci proviamo. “Nessun uomo sa quanto malvagio sia finché non prova ad essere buono.” (C.S. Lewis)

b. Infatti io mi diletto nella legge di Dio secondo l’uomo interiore: Paolo sa che il suo vero uomo interiore trova diletto nella legge di Dio. Egli comprende che l’impulso a peccare deriva da un’altra legge nelle sue membra. Sa che il suo “vero io” è quello che trova il suo diletto nella legge di Dio.

i. Il vecchio uomo non è chi Paolo è realmente; il vecchio uomo è morto. La carne non è chi Paolo è realmente; la carne è destinata a morire e a risuscitare. L’uomo nuovo è il vero Paolo; ora la sfida di Paolo è di vivere così come Dio lo ha creato.

ii. C’è un dibattito tra i cristiani circa la condizione di Paolo durante l’esperienza che descrive. Alcuni guardano alla sua battaglia col peccato e la considerano precedente alla nuova nascita. Altri credono che sia semplicemente un cristiano che combatte con il peccato. In un certo senso, si tratta di una domanda irrilevante, perché questa è la battaglia di chiunque cerchi di ubbidire a Dio con le proprie forze. Questa esperienza di battaglia e sconfitta è qualcosa che un credente potrebbe sperimentare, ma è l’unica cosa che un non credente può sperimentare.

iii. Morris, citando Griffith Thomas, dice: “Il punto di questo passaggio è che descrive un uomo che sta cercando di essere buono e santo con i propri sforzi e viene sconfitto ogni volta dalla potenza del peccato innato; si riferisce quindi a tutti, al rigenerato e al non rigenerato”. 

c. Che combatte contro la legge della mia mente e che mi rende schiavo della legge del peccato: Il peccato è in grado di guerreggiare dentro Paolo e vincere perché in lui non c’è alcun potere oltre sé stesso che lo aiuti a smettere di peccare. Paolo è colto nella sua disperata impotenza di cercare di combattere il peccato con la sua potenza.

E. La vittoria si trova in Gesù Cristo.

1. (24) La disperazione e la prospettiva di Paolo.

O miserabile uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?

a. O miserabile uomo che sono! La parola miserabile in greco antico significa più letteralmente “miserabile a causa dello sfinimento dovuto al duro lavoro”. Paolo è completamente logorato e stanco a causa dei suoi vani sforzi di compiacere Dio secondo il principio della Legge. 

i. “Vale la pena tenere a mente che i grandi santi delle diverse epoche non dicono: “Quanto sono bravo!” Piuttosto, sono inclini a fare cordoglio per la loro peccaminosità.” (Morris) 

ii. Il legalismo porta sempre le persone faccia a faccia con la loro miseria e, se continuano nel legalismo, reagiranno in uno di questi due modi. O rinnegheranno la propria miseria divenendo farisei ipocriti, o cadranno nella disperazione per la loro condizione e rinunceranno a seguire Dio.

b. O miserabile uomo che sono! Tutto il tono di questa dichiarazione mostra la disperazione di Paolo di voler ricevere liberazione. È sopraffatto da un senso di impotenza e immoralità. Per trovare vittoria, dobbiamo anche noi giungere alla stessa disperazione. 

i. Il tuo desiderio deve andare ben oltre una vaga speranza di voler diventare migliore. Devi urlare contro te stesso e gridare a Dio con la stessa disperazione di Paolo.

c. Chi mi libererà: La prospettiva di Paolo si volge finalmente verso qualcosa (più precisamente, qualcuno) al di fuori di sé stesso. Da Romani 7:13 Paolo si riferisce a sé stesso circa 40 volte. Nel mezzo della sua lotta infruttuosa contro il peccato, Paolo è diventato completamente focalizzato e incentrato su sé stesso. Questa è la condizione di ogni credente che vive sotto la legge, che guarda a sé stesso e alle proprie opere piuttosto che guardare prima a Gesù.

i. Le parole “Chi mi libererà” mostrano che Paolo smette di essere focalizzato su di sé e chiede “Chi mi libererà?” e non “Come farò a liberarmi?”

ii. “Non è la voce di chi è scoraggiato o si trova nel dubbio, ma di uno che ricerca e anela quella liberazione.” (Poole)

d. Chi mi libererà da questo corpo di morte? Quando Paolo descrive questo corpo di morte, alcuni commentatori vedono un riferimento ad alcuni re antichi che tormentavano i loro prigionieri incatenandoli a dei corpi in decomposizione. Paolo desiderava essere liberato da quel miserabile corpo di morte a cui era legato.

i. “Era usanza di alcuni antichi tiranni, quando desideravano porre qualcuno sotto la punizione più terrificante, legare alla persona un corpo morto, ponendoli schiena contro schiena. C’era, dunque, l’uomo in vita con la carcassa umana legata strettamente a lui, in decomposizione, putrida, da trasportare ovunque andasse. Ora, questo è semplicemente ciò che il cristiano deve fare. Egli ha dentro di sé nuova vita; lo Spirito Santo ha messo dentro di lui un principio vivente e immortale, ma si sente come se ogni giorno dovesse trasportare questo corpo morto, questo corpo di morte, una cosa tanto ripugnante, orribile, abominevole quanto una carcassa maleodorante lo sarebbe per un vivo.” (Spurgeon)

ii. Altri vedono un riferimento al peccato in generale, ad esempio Murray: “Il corpo viene inteso come massa e il corpo di morte come tutta la massa del peccato. Pertanto, ciò da cui Paolo desidera essere liberato è il peccato in tutti i suoi aspetti e conseguenze”.

iii. “Con corpo di morte intende tutta la massa del peccato, o quei componenti di cui l’uomo è composto, ma in lui rimangono solamente delle reliquie a causa delle catene che lo imprigionavano.” (Calvino)

2. (25) Lo sguardo di Paolo si sposta finalmente da sé stesso a Gesù.

Io rendo grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore. Io stesso dunque con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato.

a. Io rendo grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore: Finalmente Paolo distoglie lo sguardo da sé stesso per rivolgerlo verso Gesù. Appena guarda a Gesù, ha qualcosa per cui rendere grazie a Dio – e gli rende grazie per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore.

i. Per mezzo significa che Paolo vede Gesù in piedi tra lui e Dio, a colmare il divario e a provvedere una via per andare a Dio. Signore significa che Paolo ha messo Gesù al posto giusto – come Signore e padrone della sua vita.

b. Io stesso dunque con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato: Egli riconosce di essere in una battaglia, ma ringrazia Dio per la vittoria in Gesù. Paolo non finge che il semplice guardare a Gesù annulli la battaglia – Gesù opera attraverso di noi nella battaglia contro il peccato, non si sostituisce a noi. 

i. Rimane la gloriosa verità: c’è vittoria in Gesù! Gesù non è venuto a morire per darci più o migliori regole, ma per trasmettere la Sua vittoria a coloro che credono. Il messaggio del vangelo è che c’è vittoria sul peccato, l’odio, la morte e su tutta la malvagità quando arrendiamo le nostre vite a Gesù e viviamo nella Sua vittoria.

c. Per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore: Paolo ci fa vedere che, sebbene la legge sia gloriosa e buona, non può salvarci – e che abbiamo bisogno di un Salvatore. Paolo non riusciva a trovare pace, non riusciva a lodare Dio fino a quando non ha distolto lo sguardo da sé stesso e oltre la legge per rivolgerlo verso il suo Salvatore, Gesù Cristo.

i. Pensavi che il problema fosse non sapere in che modo poter salvare te stesso – ma la legge è venuta come precettore, ti ha insegnato cosa fare, anche se non eri comunque in grado di farlo. Non hai bisogno di un insegnante, ma di un Salvatore.

ii. Pensavi che il problema fosse non essere abbastanza motivato, ma la legge è venuta come un allenatore per incoraggiarti a fare ciò che dovevi fare, ma non l’hai fatto comunque. Non hai bisogno di un allenatore o di un oratore motivazionale, hai bisogno di un Salvatore.

iii. Pensavi che il problema fosse non conoscere te stesso abbastanza. La legge però è venuta come un dottore, diagnosticando con la massima precisione il tuo problema col peccato, ma la legge non poteva guarirti. Non hai bisogno di un dottore, ma di un Salvatore.

© 2021 The Enduring Word Bible Commentary by David Guzik – ewm@enduringword.com

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Hebrews

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Psalm

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Jeremiah

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Ezekiel

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